Pensioni, aumenta il divario tra Nord e Sud
Non serve indietreggiare su misure assistenziali, la vecchia politica per decenni ha risposto con il binomio: pensioni al Nord e invalidi civili al Sud.
Che il sorpasso fosse avvenuto era ormai noto, ma che si fosse persa anche la scia è una novità, in negativo. Questo ci dicono i recenti dati pubblicati dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Di cosa parliamo? Di uno dei fattori che aggravano il già drammatico divario territoriale tra il Nord e il Sud del Paese: le pensioni. In particolare gli effetti determinati dalla dinamica distributiva della spesa previdenziale e le sue molteplici ricadute sul tessuto sociale ed economico. Leggiamo qualche numero pubblicato nella recente ricerca dell’istituto Veneto, utilizzando dati e cifre dell’ultimo anno. Al Sud le pensioni erogate ai cittadini sono 7 milioni e duecentomila, a fronte di 6 milioni e centomila lavoratori. La realtà territoriale più “virtuosa” è al Nord, l’area del Milanese, con un saldo positivo, differenza tra il numero di occupati e pensioni, di circa 350 mila lavoratori.
Sono al contrario tutte in negativo le aree del Mezzogiorno. Riportiamo, anche in questo caso, qualche esempio sui numeri rilevati dalla ricerca: Lecce – 100mila, Napoli – 93mila, Palermo – 75 mila. Si potrebbe continuare così per gran parte delle province del sud con le sole eccezioni di Cagliari e Lecce che segnano un limitatissimo segnale in positivo. Su base Regionale la Lombardia è il territorio più performante con un saldo positivo di 730 mila e la Sicilia al contrario, il fanalino di coda, con un meno 300 mila. Il dato finale macroregionale è ancora più evidente nella sua disparità: il nord incrementa fino al 150% la differenza con il Mezzogiorno, con un complessivo di occupati di circa un milione e mezzo a fronte di oltre un milione, in negativo, al Sud. Il Paese, anche sul sistema previdenziale, è spaccato a metà. L’allarme lanciato dalla ricerca riguarda anche la dinamica degli effetti negli ultimi anni che registra un netto peggioramento. Tutto ciò è anche la causa di un livellamento nazionale di alcuni indicatori che nel passato hanno avvantaggiato il Sud: il fenomeno della denatalità e il conseguente invecchiamento della popolazione. Quindi si sommano, ancora una volta in negativo, lo storico e strutturale deficit economico e sociale di alcune Regioni Italiane e l’inversione di tendenza della crescita della popolazione residente nelle Regioni del Mezzogiorno.
Questo è il dossier più spinoso che impegna tutti i governi da almeno tre decenni. Le leggi di stabilità ruotano attorno alle dispute sull’innalzamento dell’età pensionabile e sui correttivi degli incrementi o decrementi – leggi ultima diatriba sulle pensioni ai medici – dell’assegno pensionistico. Le ricette sono tante, troppe e confuse. L’ unica inrinviabile è quella di un necessario, quanto sostenibile, innalzamento dell’età pensionabile. Lo si voglia o no da questo non si scappa. Così come sono necessari interventi, con effetti nei tempi medio-lunghi, finalizzati ad allargare la base occupazionale aumentando la competitività, con più efficaci politiche attive del lavoro. Si dovrà incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, rafforzare le politiche che sostengono la crescita demografica e l’allungamento della vita lavorativa delle persone. Considerata l’emergenza più strettamente legata agli effetti sociali e territoriali nel breve periodo, causati dal divario territoriale descritto, bisognerà aggredire con urgenza l’acme del problema.
Alle varie proposte di medio o lungo periodo serve aggiungere misure correttive delle diseguaglianze. Una combinazione di fattori socio economici che impatti sulla bassa produttività e sui tassi di disoccupazione nel Mezzogiorno. Il credito di imposta rientra tra queste scelte ma può risultate insufficiente. Se i salari e le pensioni sono i fattori prevalenti a garantire la sostenibilità sociale e un welfare diffuso, se al Sud questo equilibrio manca, si dovranno pensare misure più innovative di sostegno al reddito. Altro che gabbie salariali! Non serve indietreggiare su misure assistenziali, la vecchia politica per decenni ha risposto con il binomio: pensioni al Nord e invalidi civili al Sud. Bisognerà, invece, coprire il vuoto di welfare e di assistenza – che l’aumento del divario sulle pensioni genererà nelle diverse aree geografiche, acuendo le già profonde diseguaglianze tra cittadini – applicando le migliori ricette Europee. Se ce ne fosse bisogno, per non incorrere in vecchi errori, volgiamo lo sguardo alla Germania e agli strumenti che ha messo in campo per ridurre i divari, nella complessa opera di riunificazione.
Stefano Caldoro (leader del Nuovo PSI)