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Ora si stracciano le vesti. Tutti, i politici di allora e di oggi, gli ex cronisti giudiziari di Milano che brindarono alla sua prima informazione di garanzia, e anche qualche ex pm della procura che gliela aveva inviata. Oggi Bettino Craxi è uno statista, e ha impiegato trent’anni a diventarlo. Ma statista lo era allora, quando era vivo e forte, prima di diventare il “cinghialone”, inseguito da torme di cani feroci che istigarono cittadini spesso inconsapevoli ad assalirlo fino a mettergli i denti nel collo e ucciderlo.
Ucciso politicamente, giudiziariamente, mediaticamente e fisicamente. È stato un delitto, inutile cercare di addolcire con le parole quel che gli hanno fatto, fino a farlo morire esule. Si, esule, come gli antifascisti e i perseguitati di un regime autoritario che si apprestava a impadronirsi delle istituzioni democratiche e ad abbattere la Prima Repubblica.
La famosa sera delle monetine, quella che non ha più padri né madri né sostenitori o simpatizzanti, quella del 30 aprile 1993. È la sera in cui i compagni ex Pci-Pds non disdegnarono di manifestare insieme agli ex fascisti del Msi né gli uomini di Gianfranco Fini di accompagnarsi agli ex comunisti. Nessuno li fermò, né il segretario del Pds Achille Occhetto, che aveva appena terminato un comizio in piazza Navona, a due passi dalla residenza del segretario socialista all’hotel Raphael, né il segretario nazionale del Msi Gianfranco Fini, anzi in quelle giornate sempre pronto ad esprimere il proprio sostegno ed appoggio suo e del partito all’azione del pool milanese di “Mani pulite”, anche con striscioni e slogan del tipo “Borrelli e Di Pietro, Fateci sognare” da parte dei militanti e dirigenti missini nelle pubbliche piazze, e neanche le forze dell’ordine li fermarono pur essendo presenti.
Tutti assetati di sangue e di ghigliottine, uniti nel gridare “eccolo eccolo!”, “sei finito”, “chi non salta Socialista è” per indicarlo al boia e alla gogna, e poi assalirlo fisicamente con ogni oggetto contundente fosse a portata di mano. Bettino rimase sconvolto, più che impaurito. E commentò di aver provato per la prima volta sul proprio corpo che cosa fosse lo squadrismo. Dopo, non più Presidente del consiglio e neanche deputato, e neanche segretario e leader del Psi. Ma semplicemente Esule. Quella sera fu la certificazione della sua morte politica. Che era avvenuta un anno prima, insieme a quella di Francesco Cossiga, il presidente della repubblica prima voluto e poi ripudiato e combattuto dalla sinistra. E, quasi negli stessi giorni, insieme agli assassinii di Falcone e Borsellino. Il maledetto 1992.
Così si racconta Bettino Craxi: “Parlare ad alta voce e ripetere le proprie idee fino a sfiancarsi. Unire delle forze e tenerle unite. Guardare alto. È il solo modo per difendere la propria libertà e la propria indipendenza”. È il 1992 e dopo le elezioni politiche del 5-6 aprile di quell’anno maledetto lui ritiene giusto il proprio ritorno a Palazzo Chigi. Crede di avere un accordo in tasca, ma non sarà così. Soffia un venticello. E a lui non resterà che lasciare, a futura memoria, due discorsi. Che saranno memorabili.
Il primo ancora in attacco, il secondo in difesa. Ci crede ancora il 3 luglio del 1992, il leader del Psi, pur mentre sta votando la fiducia a colui che ha preso il suo posto, Giuliano Amato (e che già sta prendendo le distanze da Lui per avvicinarsi sotto l’ala protettiva del Quirinale e del PDS). Ci crede, e lancia due grandi temi come programma di governo: la modernizzazione e la moralizzazione della vita pubblica. Non tanto la “questione morale” berlingueriana, quanto un processo di trasformazione, “che deve essere affrontato con serietà e rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche”.
Propone un cambiamento di rotta. È il più lucido nel capire che i partiti con il finanziamento illecito hanno tirato troppo la corda. Non viene ascoltato. Un anno dopo è troppo tardi. Se il disegno di Bettino, di modernizzazione e moralizzazione avesse quel giorno, e in quelli che seguirono, trovato udienza, Craxi sarebbe stato il salvatore della democrazia, simbolo del Bene. Invece fu consegnato in pasto all’opinione pubblica come fosse il Male, e si arrivò a quel tragico 29 aprile del 1993 e a quel che ne seguì, con la serata delle monetine.
Ma quel 3 luglio del 1992 lui ci credeva. Non era uomo da sfumature, e non ne usò. Aveva alle spalle giorni che non avevano nulla di normale, per quel che accadeva nel mondo della politica e soprattutto nel Paese. Gli eventi si susseguivano a ritmi vorticosi. Una cronologia impressionante, ritmata da due parole che, a partire da quei giorni, non ci abbandoneranno più: giustizia e ingiustizia. Il Presidente Francesco Cossiga, l’unico a non farsi intimorire dal sindacato delle toghe, fino a minacciare di mandare i carabinieri a quel Csm che pure lui stesso presiedeva, abbandonato e colpito dall’apertura di un procedimento di messa in stato d’accusa aperto dallo stesso partito, il Pci-Pds, che lo aveva fatto eleggere alla prima carica dello Stato.
Il Comitato parlamentare per le accuse in seguito aveva ritenuto infondato il procedimento. Ma dopo che lui era stato costretto alle dimissioni, il 28 aprile dopo un drammatico discorso televisivo rivolto alla Nazione.
“Dopo” diventerà un’altra parola chiave di quegli anni. I riconoscimenti postumi, in seguito ad assoluzioni e suicidi. Date vorticose, segnate dalle informazioni di garanzia che saranno lo spartiacque della politica e delle tragedie successive. I primi personaggi di rilievo nazionale a ricevere l’avviso del pool saranno i due ex sindaci di Milano, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri, ormai parlamentari. E siamo al primo maggio. Ma subito dopo i magistrati milanesi arriveranno all’amministratore della Dc Severino Citaristi e al segretario del Pri Antonio Del Pennino, e poi persino a Giorgio La Malfa, che voleva fare il “partito degli onesti”.
Il 23 maggio nella strage di Capaci viene ucciso Giovanni Falcone, magistrato di sinistra poco amato dalla sinistra, uno dei pochi favorevoli a quella riforma costituzionale sulla separazione delle carriere che il Paese sta ancora aspettando, trenta due anni dopo. Due giorni dopo il Parlamento elegge Oscar Luigi Scalfaro come Presidente della repubblica. È cambiato tutto, e anche la mafia ha detto la sua. Falcone non piaceva alla sinistra del Pds perché si era “venduto”, andando a dirigere gli affari penali negli uffici del guardasigilli socialista Claudio Martelli. Ma per motivi ben più seri, le sue grandi capacità investigative, non piaceva neanche a Cosa Nostra. E intanto lo stesso ministro Martelli si era dimesso dopo una telefonata in cui il procuratore di Milano Saverio Borrelli gli preannunciava l’arrivo di un’informazione di garanzia.
In questo clima da caccia grossa cominciavano a sentirsi i brividi dei primi suicidi. Siamo già a tre, in quei giorni, mentre il procuratore aggiunto di Milano, Gerardo D’Ambrosio, forse non presagendo la slavina che verrà e travolgerà così tante vite, si lascerà andare a un commento imperdonabile anche da chi gli era stato amico: “A volte si muore anche di vergogna”.
Quello fu il clima in cui prese la parola Bettino Craxi. Fu l’unico lungimirante, ma non fu capito. O forse era tale e tanta la fame di invidia e di vendetta, la voglia di spartirsi le sue spoglie da rendere miope e sorda un’intera classe politica. Sarebbe cambiato tutto, se avessero ascoltato Bettino Craxi. Si sarebbe persino potuti arrivare a un accordo con la magistratura, non come lo volevano Borrelli e Colombo, con i leader di partito in ginocchio a chiedere perdono e lasciare la politica. Ma con una vera campagna di modernizzazione e moralizzazione.
Per la moralità, che è il contrario del moralismo e del giustizialismo. Craxi sfidò il Parlamento e i partiti ad ammettere che i loro bilanci erano falsi o falsificati. Ma nessuno fiatò, pensavano tutti di salvarsi. E quando un anno dopo, ormai sulla difensiva, sarà lui a essere “salvato” dalla Camera, che boccerà quattro delle sei richieste di autorizzazioni a procedere, non potrà che porgere il petto alle baionette che si scaglieranno su di lui sotto forma di monetine.
E la prima conseguenza, verso la fine del 1993, sarà quel colossale assalto alla democrazia che sarà l’abolizione dell’immunità parlamentare, l’unico fondamentale contrappeso voluto dai padri costituenti perché non fossimo destinati a subire la repubblica giudiziaria che, da allora, non è mai tramontata. Inascoltato Craxi, umiliato Cossiga, ucciso Falcone. La stagione delle monetine sembra non finire mai.
In quel maledetto 1992 si consuma il falconicidio che è l’ ultimo atto di attacco alla persona di Falcone, attacchi iniziati alla procura di Palermo e culminati con la bocciatura da parte del CSM della sua nomina a capo del pool antimafia al posto di Caponnetto. Il 1993 è l’ anno del Craxicidio con l’ attacco massiccio di magistratura, media, Quirinale, Sinistra capeggiata dal PDS, partiti di destra (MSI di Gianfranco Fini e Lega Nord di Umberto Bossi) verso la persona di Bettino Craxi che dopo aver incontrato le ritrosie di Scalfaro a dargli l’incarico di presidente del consiglio, sarà costretto a dimettersi dalla segreteria del PSI. In questo interessante articolo è da notare che Falcone, Cossiga e Craxi erano stati prima elogiati e poi scaricati dalla sinistra non appena erano entrati in contrasto con il potere giudiziario. La storia di quegli anni, scanditi dalle stragi, è ancora tutta da raccontare.