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“Ho fatto tutto di corsa in una specie di frenesia che mi bruciava l’animo. Ho così commesso anche molti errori. E tuttavia, quello che io penso è che nella mia vita ho reso grandi servigi all’Italia. La storia, se non sarà scritta da storici di regime, dirà quanto questo è vero. Certo non merito di essere condannato a morire lontano dal mio Paese”. Così Bettino Craxi rispose a una domanda posta dal giornalista ed intellettuale Marcello Veneziani se si era pentito dei suoi errori e se aveva la tentazione di tornare in Italia.
A Craxi si deve il governo più duraturo della prima repubblica, che coincise col periodo di maggior vitalità, ottimismo e benessere del nostro paese e di gran prestigio internazionale. Craxi mise in crisi il consociativismo catto-comunista, con supporto di laici e bella stampa; tentò di modernizzare la sinistra e di sdoganare la destra, fuoriuscendo dalla pregiudiziale antifascista dell’arco costituzionale; varò il nuovo Concordato con la Santa Sede con l’accordo di Villa Madama che non assegnava più alla religione cattolica il riconoscimento di religione di Stato e la nuova scala mobile, pensò a una grande riforma istituzionale che riportasse al centro della politica la decisione, l’elezione diretta del leader, e alimentò la revisione storica, la passione nazionale e risorgimentale, il socialismo tricolore. Sarà stata mitizzata, ma Sigonella fu un mirabile esempio di sovranità nazionale; che forse costò caro a Craxi e ad Andreotti.
Il vero cambiamento – ha sostenuto in un suo libro Claudio Martelli, allora vicesegretario del Partito Socialista Italiano – avviene al Governo con “due sfide vittoriose contro chi aveva promosso un referendum per abbattere Craxi (1985) e la sua politica economica. E contro la pretesa americana di dettare legge sul nostro territorio.
La scala mobile e la vicenda di Sigonella. Al fianco di una figura come quella di Bettino Craxi, quasi ad integrarla, ma con una sua dignità e autonomia, viene posta quella di Marco Pannella che in quegli anni “craxiani” agita col suo piccolo ma fondamentale Partito Radicale i grandi temi della convivenza civile – basti pensare al referendum sulla giustizia giusta (1988) partendo dalla terribile vicenda di Enzo Tortora – assumendo il ruolo carismatico del più laico dei nostri politici, da mezzo secolo l’unica presenza religiosa e profetica nella nostra dissestata democrazia e nel nostro sconsacrato stato di diritto”.
Perciò, domandiamoci: perché in questi anni ci si ricorda così spesso di Bettino Craxi? Perché il suo nome, nonostante gli anni della damnatio memoriae è scandito sui giornali? Perché su alcuni libri, la sua figura esce a tutto tondo come quella di un leader al cospetto di un’Italia in declino, incerta, barcollante, sull’orlo della disperazione e con un Governo sempre col piede nella fossa? Perché tutto questo avviene, tra l’altro, ogni anno puntualmente in occasione dell’anniversario della sua morte (19 gennaio 2000) ad Hammamet, dove è sepolto dal 2000 in un piccolo cimitero cristiano?
L’immagine di Craxi si staglia forte e autorevole sul panorama di macerie di questa Italia anche e soprattutto perché il leader socialista aveva fatto del suo socialismo democratico e liberale uno strumento al servizio di un Paese con Governi allora non diversi dall’attuale quanto a instabilità.
La sua leadership, pur in un quadro di alleanze e di difficoltà sia economiche che politiche, puntò tutto sul decisionismo convinto com’era, riprendendo il famoso proverbio del laburista Clement Attlee, che “la democrazia è un sistema fondato sulla discussione, ma funziona soltanto quando si smette di discutere”.
Craxi pensò uno Stato autorevole che libera il Mercato ma che conserva il primato della politica sull’economia; che apre alla religione e alla Chiesa senza essere clericale: Craxi capì che il problema non era togliere la parola ai preti ma dare prestigio allo Stato e autorevolezza alla politica. È il vuoto di politica e di decisione che porta a trovare supplenze alla politica, dalla magistratura alla finanza, dalla chiesa alle ingerenze internazionali.
È vero che ci fu col socialismo craxiano una pianificazione dei pedaggi da dover pagare alla politica. Ma la politica non si può giudicare solo con la morale e col codice penale; si giudica soprattutto dagli effetti che produce sulla vita del Paese e dei suoi cittadini, sul ruolo che assume la politica rispetto allo sviluppo, e i costi della politica vanno rapportati ai benefici che produce. E poi, i cretini incompetenti fanno più danni dei ladri ma capaci.
Lui cercò di non far schiacciare il Psi nella morsa tra il Pci che godeva di sostegni anche economici dell’est e aveva la rete delle coop, e della Dc che gestiva potere e sottopotere.
Craxi si circondò non solo di nani e ballerine, ma anche di intelligenze politiche affilate, di prim’ordine. Con Craxi avemmo l’unica efficace sinistra riformista e progressista di governo che ha prodotto la repubblica italiana. Craxi resta il nostro ultimo grande statista. Certo, fu un professionista della politica ma daremmo in cambio ben volentieri tutta la classe politica attuale di incapaci allo sbaraglio di destra, sinistra e grillini presenti in parlamento pur di avere uno come lui.
Quarantuno anni da che Bettino Craxi varò il suo primo Governo, primo governo a guida socialista e 42esimo della Repubblica, che allora aveva 37 anni. Che fosse una novità, lo si era capito da tempo, e lo si sarebbe capito anche guardando la durata del Craxi I: quasi tre anni, record per la prima repubblica. Tre anni passati tutti a cercare di riformare l’Italia, secondo una logica votata allo sviluppo, all’ambizione politica di issare stabilmente l’Italia in alto, là dove dovrebbe stare una nazione che non si accontenti di piccoli obiettivi ma che voglia essere pienamente protagonista, e far fruttare le sue enormi potenzialità. Tre anni di governo dedicati a inseguire, leva fiscale in mano e borse col vento in poppa, un progresso declinato secondo la massima fordiana che “il progresso è tale solo se lo è per tutti”.
Con una maggioranza larga anche se composita (il Craxi I viene sorretto dal pentapartito Dc-Psi-Pli-Pri-Psdi) Craxi produce un attivismo sul proscenio internazionale, e una lotta all’inflazione domestica consumata attraverso la crescita che avrebbe portato l’Italia al quinto posto nella graduatoria dei paesi più industrializzati del mondo, avrebbe tagliato con un decreto, il decreto di San Valentino (plastica dimostrazione di decisionismo politico, altra inclinazione nuova del suo personaggio) la scala mobile, che dell’inflazione sembrava ormai essere diventata causa, più che un possibile rimedio.
Avrebbe introdotto il redditometro e l’obbligo del registratore di cassa per migliorare l’efficienza redistributiva tramite la lotta all’evasione, riformato il Concordato con la Santa Sede del 1929, e -se permettete- avrebbe aperto di fatto, con un decreto a sua difesa e contro alcune decisioni pretorie, la via della concorrenza al pioniere della televisione privata contro il monopolio del servizio pubblico radiotelevisivo: Silvio Berlusconi.
Craxi, proprio per la visione di lungo periodo di cui era portatore ambizioso, pensava infine, e già da prima di diventare premier, a come riformare una nazione, l’Italia, con una tendenza pronunciata al cambiamento là dove la borghesia produttiva ha respiro e pensava a come poter arrivare ad un superamento ideologico della lotta di classe e del conflitto sociale alimentati dal PCI.
Più volte aveva denunciato il deficit decisionale del sistema istituzionale italiano, l’eccesso del potere di veto che lo attraversava e il suo eccesso legislativo (“In Italia è necessaria una legge anche per regolare l’eviscerazione dei polli”), e avanzato l’idea di una riforma che portasse all’elezione diretta del Capo dello Stato. Queste riforme di fatto non arrivarono, ma divennero patrimonio politico di tutti nei decenni successivi, e se oggi la Presidenza del Consiglio ha una sua legge di funzionamento minimamente moderna è solo grazie ai presupposti che Craxi mise in piedi e che diedero alla luce poi, nell’88, della legge cardine di riforma dell’amministrazione pubblica: la celeberrima 400. Quarantuno anni dall’affermazione di un ambizioso riformista, e non sentirli.
In Italia, due sinistre in conflitto, il nodo mai sciolto risalente al 1917, l’anno della rivoluzione. Gramsci e Turati. Craxi ha favorito l’approdo del PSI alla sponda riformista, il Pci di Berlinguer, che ha da poco regolato i conti con la casa madre sovietica, fallito il compromesso storico si è rinserrato nella difesa della sua identità proprio ora che il Paese è in viaggio, travolto da un cambiamento epocale.
Il terziario spodesta l’industria, si affacciano i primi cauti segni della rivoluzione tecnologica che esploderà a fine secolo, la piccola impresa traina l’Italia. I socialisti puntano alla società aperta, non ideologizzata, ‘meriti e bisogni’, e si avvalgono nelle pratiche di governo di prestigiosi intellettuali che interpretano le ragioni di un’Italia nuova. La partita finale si gioca già nel febbraio 1984. Il 14 febbraio viene varato il decreto (Decreto di San Valentino) che taglia di tre punti la scala mobile e blocca prezzi e tariffe. Ci sono gli studi del professor Tarantelli dietro al decreto, verrà ucciso per questo dalle Brigate Rosse. Il 18 febbraio viene firmata la revisione dei Patti Lateranensi. Il 21 febbraio il Comitato Centrale del PCI dichiara guerra al decreto.
Due cieli. Due sinistre, due visioni, due strategie. La rottura è così profonda che ricorda i giorni in cui nacque il primo centrosinistra. Non c’è pareggio, ciascuno gioca il tutto per tutto.
Il referendum segnerà la sconfitta netta del PCI e la vittoria dei riformisti. La prima volta. Un’impresa che aprirà al governo le porte di un convinto rispetto internazionale. A sancire il prestigio dell’Italia nel mondo arriveranno poi i fatti di Sigonella e l’ingresso nel G7.
Sarà, quel governo, l’ultimo esecutivo autorevole della prima repubblica. Le decisioni prese, un’arma a due tagli: la crescita italiana fino a diventare la quinta potenza mondiale, e probabilmente il seme che condurrà Craxi sulla via della fine.
A rispondere a “Quell’eredità politica di Craxi che la sinistra continua a negargli” del segretario on. Lucio Barani, la offre la brillante analisi del prof. Pietro Roccaro in “ Il Decisionismo Craxiano che spaventava l’America e il Pci di Enrico Berlinguer”.
Sottolineo dei passaggi di questa analisi “… In Italia, due sinistre in conflitto, il nodo mai sciolto risalente al 1917, l’anno della rivoluzione. Gramsci e Turati. Craxi ha favorito l’approdo del PSI alla sponda riformista, il Pci di Berlinguer, che ha da poco regolato i conti con la casa madre sovietica, fallito il compromesso storico si è rinserrato nella difesa della sua identità proprio ora che il Paese è in viaggio, travolto da un cambiamento epocale”.
E ancora:” … Due cieli. Due sinistre, due visioni, due strategie. La rottura è così profonda che ricorda i giorni in cui nacque il primo centrosinistra. Non c’è pareggio, ciascuno gioca il tutto per tutto. Il referendum segnerà la sconfitta netta del PCI e la vittoria dei riformisti. La prima volta. Un’impresa che aprirà al governo le porte di un convinto rispetto internazionale. A sancire il prestigio dell’Italia nel mondo arriveranno poi i fatti di Sigonella e l’ingresso nel G7. Sarà, quel governo, l’ultimo esecutivo autorevole della prima repubblica. Le decisioni prese, un’arma a due tagli: la crescita italiana fino a diventare la quinta potenza mondiale, e probabilmente il seme che condurrà Craxi sulla via della fine”.
A me dispiace che da decenni, ormai, i tanti amici viventi dell’on. Craxi, e che sono stati Ministri e deputati e senatori, hanno dato vita a tanti insignificanti cespuglietti per affermare chi? se non se stessi, come altri che vivono in un’ammucchiata di detta sinistra dimenticando lo spirito e il percorso storico portato avanti dall’on. Bettino Craxi.
Il NPSI, cerca di portare avanti la Storia dell’ideale Socialista, grazie al “battagliero e riconoscente” dr. Barani, ma se non crea una Federazione con altri partitini, defenestrati a suo tempo, ma ancora presenti nel voler produrre qualcosa per il popolo, penso che NON ci sarà più un vivo GAROGANO ROSSO ma che appassirà rimanendo solo nei ricordi di quello che ha e che avrebbe potuto ancora rappresentare.
Gli anni passano e si invecchia. Uno detto “NUOVO” ne sta nascendo ma sarà solo Illusione nel voltar pagina ad un Calendario, perché sarà sempre lo stesso (come per ogni personale realtà) in quanto formato dalle stesse persone che, se NON cambiano, l’ANNO NUOVO sarà sempre uguale al precedente.
Che si innaffi il GAROFANO per ravvivare le coscienze degli onesti e dei coerenti in quanto personalmente, non ne sento realmente il “profumo” nell’attuale destra-centro.
Auguri e saluti a tutte e a tutti di buona volontà.