A cura del Prof. Pietro Roccaro
La storia del Pci e Psi è fatta di materiale incandescente, da maneggiare con cura. I due partiti, tra durissime lotte, hanno contribuito a migliorare e democratizzare l’Italia. Però raramente hanno operato d’intesa. Berlinguer e Craxi, in qualche modo, riassumono la vicenda storica degli scontri tra i due partiti fratelli. I due leader furono su fronti opposti come furono strategicamente su posizioni contrapposte il Psi e il Pci: il primo fu fondato a Genova per cambiare il sistema capitalista con una politica rivoluzionaria-riformista basata sulla libertà e l’uguaglianza sociale; il secondo nacque nel 1921 a Livorno, da una scissione contro il riformista Filippo Turati, per realizzare la rivoluzione bolscevica d’Ottobre; per assorbire il “partito fratello” della sinistra.
Enrico Berlinguer aveva un temperamento deciso e chiuso. Bettino Craxi aveva un carattere determinato e irruento. Il segretario comunista ereditò da Togliatti una forza politica molto importante: il più grande Partito comunista dell’Occidente, la seconda forza politica italiana dopo la Dc. Il segretario socialista ricevette da Nenni un Partito socialista debole, quasi in fase di estinzione. Erano uniti sulla difesa dei più deboli ma divisi sul come realizzare questo obiettivo. Ebbero un solo momento di possibile “contatto politico”: l’incontro nel 1983 alle Frattocchie, la scuola quadri del Pci alle porte di Roma. Andò male. Alla fine arrivò la rottura definitiva proprio sul piano dell’identità politica. Berlinguer ruppe con l’Unione Sovietica ma restò fedele all’”ideale” della sua giovinezza.
Considerava «valida la lezione che Lenin ci ha dato». Così formulò il progetto dell’eurocomunismo. Craxi spinse sul pedale dell’autonomia socialista, del riformismo cercando di rappresentare anche i ceti sociali più innovativi, intercettando la domanda di modernizzazione del paese che negli anni 80 ebbe un vivace impulso e vigore economico, sociale, culturale da lasciarsi alle spalle i drammatici anni di piombo del terrorismo e della strategia della tensione degli anni 70 culminati con il sequestro e l’ assassinio di Aldo Moro. Craxi anticipò di dieci anni le scelte fatte poi dai socialdemocratici tedeschi con Gerard Schroeder e dai laburisti inglesi con Tony Blair. E poi in parte nel 1996 con la costruzione dell’ Ulivo di Prodi e nel 2007 con la formazione del Pd di Veltroni.
Sul piano delle alleanze indicò due possibili strade: «O vera alternativa o vero centrosinistra».Alla fine confermò la scelta dell’intesa con la Dc lasciando cadere l’alternativa di sinistra. Berlinguer non si scaldò più di tanto perché, dopo il fallimento del compromesso storico con la Dc, pensò sempre a un rapporto privilegiato con il partito cattolico. Confezionò la “questione morale” come un surrogato al fallimento della politica di unità nazionale, un disegno di larghe alleanze di stampo togliattiano.
In definitiva sia Berlinguer sia Craxi consegnarono l’Italia alla centralità democristiana che continuò ad avere la maggioranza relativa per la nascita o la revoca dei governi. Allo scontro intestino ressero solo le giunte di sinistra nelle città italiane. Il segretario comunista, battendo la strada di una intransigente opposizione di stampo conservatrice, segnò la sua disfatta politica. La sconfitta nel referendum sul patto anti inflazione o sull’abolizione della Scala Mobile fortemente voluto da Berlinguer e dal PCI fu micidiale, come anche l’incitamento degli operai ai cancelli di Mirafiori ad occupare la Fiat. Il segretario socialista raccolse grandi successi economici ed internazionali come presidente del Consiglio, ma riuscì solo a scalfire l’egemonia della Dc sul governo e quella del Pci sull’opposizione. La grande ambizione di Craxi si infranse, infatti, contro i risultati elettorali delle elezioni politiche del 1987 quando il PSI si dovette fermare al 16% o quando nel 1992 (complice l’ inchiesta giudiziaria del pool milanese di Mani Pulite e la massiccia campagna mediatica anti craxiana) il PSI con il progetto della Unità Socialista si attestarono all’ 11% (“abbiamo subito una erosione” dirà Craxi a caldo).
Berlinguer ebbe un malore e morì drammaticamente nel 1984 in un comizio elettorale a Padova. Craxi morì tragicamente nel 2000 ad Hammamet in Tunisia, perseguitato dalla giustizia italiana, dopo una delicata operazione per un tumore. Due morti drammatiche anche se di diverso segno. Berlinguer è sempre stato esaltato per il suo rigore morale, Craxi è stato insultato per i finanziamenti illegali al Psi e l’ infame episodio del lancio delle monetine all’ uscita del Raphael la sera del 30 aprile del 1993 hanno fatto dimenticare quanto di buono avesse fatto negli anni del suo governo Socialista.
Il segretario socialista non nascose la realtà come altri hanno continuato a fare ipocritamente. Nel 1992, in un celebre discorso alla Camera, si assunse la responsabilità politica di quei fondi illegali e invitò i segretari di tutti gli altri partiti, compreso il Pds erede del Pci, a fare altrettanto o a contestarlo (“e se qualcuno dovesse negare il contrario, allora i fatti lo dichiareranno spergiuro”). Nessuno tra i deputati di ogni partito fiatò e nessuno si alzò, ma un silenzio surreale calò su tutta la Camera. Un silenzio disse Craxi che equivaleva ad una ammissione di colpevolezza di tutto il Sistema politico che per anni si era finanziato in quel modo presentando bilanci truccati agli organi di controllo del parlamento.
Il duello a sinistra, come ha scritto Paolo Franchi in un suo libro, “Il tramonto dell’avvenire”, si è concluso con la comune rovina dei contendenti. La sinistra nelle sue svariate declinazioni di partiti e partitini si è ridotta all’irrilevanza, a cifre elettorali da prefisso telefonico ed essendo ormai esaurita la stagione degli opposti estremismi e dello scontro ideologico ha dovuto ricorrere all’ antiberlusconismo per quasi un trentennio per proporsi come alternativa al successo elettorale di Berlusconi o a sventolare vecchi slogan dell’ antifascismo degli anni 70 per cercare di limitare (senza riuscire nel proposito) la crescita di Giorgia Meloni e di FDI.
Il Pd, la maggiore forza di centro-sinistra, ha ottenuto appena il 20% dei voti alle elezioni politiche del 2022 e il 21% alle europee del giugno 2024, nonostante l’entusiasmo ostentato della Schlein e compagnia. Continuano a restare solidi, invece, i partiti populisti di destra (FDI della Meloni, la Lega di Salvini) e avanzano gradatamente quelli rosso-bruni (la Democrazia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo).