Bettino Craxi

A cura di:

Prof. Pietro Roccaro
Prof. Pietro Roccaro

Oscar Luigi Scalfaro il manovratore. Non l’arbitro imparziale ma il giocatore politico. Un presidente che entra a gamba tesa nelle dinamiche interne dei partiti, e in particolare del Psi nella sua fase finale, quella che portò – sotto i colpi dei pm di Mani Pulite, gli avvisi di garanzia e l’indignazione popolare contro la partitocrazia corrotta di cui il partito socialista divenne il massimo simbolo agli occhi della «gente» – alle dimissioni di Bettino da segretario dopo 16 anni di comando.

Craxi, Amato e Scalfaro

Ecco il ritratto che viene fatto di Scalfaro, cablogrammi dell’ambasciata americana a Roma diretti al Dipartimento di Stato di Washington negli anni cruciali 1992-1993 mentre crollava la Prima Repubblica. Scalfaro suggerì ai socialisti: isolate Craxi. E lo fece così, secondo i «confidential report» finora inediti firmati dall’ ambasciatore statunitense Peter Secchia e da altri diplomatici degli Stati Uniti.

I DISPACCI. Da Via Veneto s’ informa puntualmente il governo americano delle battaglie interne al Psi mentre Craxi stava politicamente agonizzando. «I compagni di partito lo attaccano» – si legge in queste carte ora spulciate e rese note dallo storico Andrea Spiri, docente alla Luiss – e lui ormai indebolito combatte per mantenere il posto». Arriva il primo avviso di garanzia nel novembre del 92, ma Bettino – scrive l’ ambasciatore americano Peter Secchia – «non nutre alcun desiderio di farsi da parte» e «manovra per neutralizzare il suo principale avversario interno nel Psi, Claudio Martelli».

Ma ormai è un leader braccato, «ferito a morte» lo descrive il console Peter Semler, e dalla sede diplomatica di Via Veneto dove evidentemente non lo amano affatto lo vedono così: «Si atteggia a capro espiatorio cercando di addebitare i suoi problemi agli Stati Uniti che, a suo giudizio, agiscono dietro le quinte e sono il vero motore dell’ inchiesta sulla corruzione condotta dal pm Di Pietro».

E Scalfaro che cosa c’entra? In un dispaccio al Dipartimento di Stato, l’ incaricato d’ Affari dell’ ambasciata a Roma, Daniel Serwer, parla di un «insolito suggerimento del presidente della Repubblica». Scalfaro avrebbe rivolto nel 93 al capo del governo, il socialista Amato, questo «consiglio»: «È opportuno non prendere parte alla riunione della segreteria del Psi in programma il prossimo 1 febbraio per evitare che l’ esecutivo venga danneggiato dalle lotte interne al partito».

Ovvero: lasciate da solo Craxi, mollatelo e almeno vi salverete voi! E appare come minimo inopportuno, da parte di un Capo di Stato, ingerire così direttamente nelle vicende interne di un partito, per facilitarne l’ eliminazione del segretario. Tra le tante storture di quel periodo drammatico, eccone un’ altra come emerge da questi report finora sconosciuti e che Spiri ha estratto dagli archivi del Dipartimento di Stato americano, per illustrarli nel volume – da lui curato insieme a Francesco Bonini e a Lorenzo Ornaghi – intitolato La Seconda Repubblica. Origini e aporie dell’Italia bipolare (Rubbettino editore, 2021).

Craxi e Amato

Giuliano Amato a quella riunione della segreteria socialista non andò.

E la sua decisione, sollecitata da Scalfaro, viene letta in chiave americana come «opportuna»: una «presa distanza pubblica» nei confronti di Craxi la cui fine politica e le manovre di Scalfaro per propiziarle vengono apprezzate in questi dispacci a conferma di quello che pensava Craxi, ovvero che da Oltreoceano si faceva il tifo contro di lui.

LE DIMISSIONI. Pochi giorni dopo il dispaccio in cui si cita Scalfaro, l’ 11 febbraio 1993, Craxi isolato e bersagliato si dimise da segretario del Psi dopo 16 anni e 7 mesi di comando. Lo fa «in maniera tardiva», si legge in uno di questi cablogrammi, e dopo «aver fortemente danneggiato il suo partito» fino a farne «il simbolo della partitocrazia corrotta».

Da Via Veneto informano: «Il leader socialista si è dimesso ma si è rifiutato di lasciare il suo vecchio ufficio di Via del Corso, costringendo il nuovo segretario, Giorgio Benvenuto, ad accomodarsi in un’altra stanza, a conferma del desiderio di Craxi di mantenere una certa influenza sull’ attività del partito». Ma non gli sarebbe riuscito perché ormai isolato dai suoi e nell’ isolamento rispetto al suo partito il Capo dello Stato, a leggere questi dispacci, avrebbe avuto un ruolo attivo. Svolse un esercizio di intromissione che non gli sarebbe dovuto competere.

L’ IDOLO. E comunque, piacque così tanto agli americani l’ interventismo anti-craxiano di Scalfaro che, in altri report rintracciati dallo storico Spiri, l’ allora Capo dello Stato viene definito dal diplomatico Serwer: «Un’ autentica Rocca di Gibilterra» («A veritable Rock of Gibraltar»), posta a guardia della transizione politica italiana.

E ancora: «È un uomo imparziale, integro, di esperienza, onesto e capace, con il suo discreto interventismo, di mantenere la barra dritta» in quegli anni tempestosi di Tangentopoli.

In cui a Washington si tifa per Di Pietro e si gioisce per l’ isolamento di Craxi e poi per la sua caduta. Nella quale una spinta sarebbe arrivata anche dal Colle, e Oltreoceano la registrarono benevolmente.

Craxi, i diari inediti e la lettera di Amato che a Bettino non piacque

«Caro Presidente, ho seguito e seguo con trepidazione queste tue settimane difficili. L’ho fatto in silenzio, perché difendo i miei sentimenti dall’avidità senza pudore di quella che è oggi l’informazione. Tu sai – e ne ho dato prova del resto in tutti questi anni – che di te ho sempre custodito e ribadito l’immagine di un Presidente che ha guidato l’Italia con grandi capacità. (…) È l’immagine che altri deve ora ricollocare nella storia; il che, a quanto vedo, sta cominciando ad accadere. Sai dell’impegno con il quale ci si è adoperati e ci si adopera per verificare la possibilità (…) di consentirti un rientro a finalità curative a condizioni legittime e appropriate. Ma ora – come tu dici – tocca ai bravi medici tunisini rimetterti in sesto. Auguro a te e a tutti noi che così sia; dal più profondo del cuore. Giuliano».

Amato e la trattativa. È uno dei tasselli mancanti degli ultimi giorni di vita di Bettino Craxi. La lettera di cui in molti hanno parlato ma che nessuno – tolti il mittente, il destinatario e le due persone che hanno fatto da tramite – aveva mai letto. È datata «Roma, 23 novembre 1999». La scrive Giuliano Amato, all’epoca ministro del Tesoro del governo D’Alema, che la consegna a Umberto Cicconi, che a sua volta la lascia nelle mani di Bobo Craxi perché la dia al padre, ricoverato in Tunisia in attesa dell’intervento per l’asportazione al rene ormai divorato dal tumore. L’ex presidente del Consiglio, questo lo racconterà nel 2003 il figlio Bobo in un libro scritto con Gianni Pennacchi (Route El Fawara Hammamet, Sellerio Editore Palermo), legge il contenuto. Poi accartoccia il foglio di carta intestata della Camera dei Deputati e lo lancia via dicendo «Amato si sta rivelando il peggiore di tutti».

La lettera è stata scovata da Andrea Spiri, tra l’altro nel giorno in cui lo storico e ricercatore – uno dei massimi esperti accademici del craxismo – avrebbe dovuto consegnare all’editore Baldini+Castoldi le bozze del suo «L’ultimo Craxi. Diari da Hammamet».

L’autore ha rinviato di qualche giorno la consegna del testo e il documento è diventato parte integrante dell’opera. Insieme a tantissimi diari inediti.

A novembre del 1999, insomma, Craxi capisce che la fine è vicina. Amato gli dà conto della trattativa del governo D’Alema per arrivare a una soluzione umanitaria che gli consenta un ritorno in Italia. Del suo ex sottosegretario all’epoca di Palazzo Chigi, un socialista a cui il destino avrebbe consegnato una sorte diversa dalla sua, Craxi non si fida neanche in punto di morte.

«Niente fantasmi». Di notte, a volte, lo inseguono sogni di guerra, scrive l’ex premier malato in un appunto; quelli incollati alla mente del bambino che era stato negli anni Trenta. «I fantasmi non so cosa siano, ed anche i sogni mi inseguono raramente. Se ci sono sogni che mi hanno qualche volta perseguitato, sono stati sogni di guerra. Una eredità infantile. I miei sonniferi sono neutrali. Sono in ogni caso necessari…».

«La scomparsa va evitata». «Sono addolorato, ma sono sereno. Non sono né sfiduciato né rassegnato. Penso sempre alle cose terribili che sono successe nella storia, e alle sofferenze sofferte da altri e questo mi aiuta ad accettare con equilibrio tutto ciò che mi sta succedendo», scrive in un diario Craxi nell’ottobre del 1996. Mancano pochi giorni al pronunciamento della Cassazione sulla sentenza di condanna per la tangente Eni-Sai. Il 12 novembre 1996, dopo che la Corte conferma il giudizio di appello, l’ex premier annota: «La sconfitta è inevitabile, ma la scomparsa va evitata». Qualche mese più avanti appunterà: «Non sono un pentito, salvo che per alcune cose che riguardano le mie relazioni umane (…). Mi pento di aver dato fiducia e potere a uomini che non lo meritavano».

Una sfilata da luci della ribalta: il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, lassù innalzato anche da Bettino Craxi perché «fu il mio fedele ministro dell’Interno», diffonde una nota sulle sue responsabilità di garante della Costituzione, e dunque un condannato è un condannato, che ci posso fare?

Il premier Massimo D’ Alema va dal procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e il procuratore ascolta, e ascolta, e poi, anche lui col faro della legalità a illuminargli il cammino, dice niente da fare, un condannato è un condannato, fate un decreto e assumetevene la responsabilità; ma siccome non erano più i tempi – e non lo sarebbero più stati – del primato della politica, D’ Alema non procedette oltre il baciamano all’ ordine costituito.

Il capolavoro di situazionismo fu del segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, che dopo aver accolto in profonda contrizione le suppliche della figlia Stefania, trasse di tasca due rosari e glieli porse, perché ne facesse dono al padre, insieme all’ assicurazione di un posto di privilegio nelle sue preghiere.

Così Bettino Craxi restò a morire ad Hammamet, nella latitanza dorata il cui culmine fu la sfacciataggine (ironia, per chi non l’ avesse capito) d’ essere operato per il cancro al rene nello squallore dell’ ospedale militare, dove un medico del San Raffaele si incaricò di reggere la lampada per fare luce sul lavorio chirurgico nelle viscere dell’ ex presidente.

Nessuno ci aveva ancora riflettuto sopra, sul Bettino Craxi che ventuno anni prima era stato sorpreso da Gennaro Acquaviva con la testa tra le mani, in lacrime, sotto gli occhi una lettera di Aldo Moro spedita dalla «prigione del popolo». Si era decisa, essenzialmente dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista, la linea della fermezza, che poi era la linea dello star fermi nel senso di non far nulla. Riuscì benissimo, tutti fermi mentre Moro veniva processato e assassinato dalle Brigate rosse, e mentre Craxi in solitaria (di già) predicava una trattativa che lo portò più vicino ai sequestratori di quanto non sia riuscito ai servizi segreti, probabilmente impegnati nella stessa interpretazione della fermezza proposta dal governo. Nessuno ci aveva ancora riflettuto sopra, fino al libro asciutto e opulento di Marcello Sorgi (Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi, Einaudi, pp. 111, 20), di cui l’ esempio è il breve e fulminante ritratto dei due protagonisti – Bettino Craxi in conferenza stampa interpellato vanamente dall’ esordiente Sorgi: non risponde e chiede se ci siano altre domande (era un suo crudele modo di svezzare i giovani interlocutori), e Aldo Moro che riceve a Palazzo Chigi don Riboldi e una delegazione di bambini reduci del terremoto del Belice, a cui non promette nulla di quanto non possa mantenere, poiché la politica non è mestiere per fanfaroni. La tesi del libro arriva quando deve arrivare, piazzata al termine del racconto di vite parallele con spietatissima noncuranza: «Entrambi finiscono schiacciati, stritolati in un meccanismo che non si accontenta di distruggerli politicamente, ma presuppone la loro eliminazione fisica. Salvarsi non gli è consentito». È l’ ignominia di uno Stato capace di venire a patti coi peggiori ceffi del pianeta per spuntarne un vantaggio purchessia, e di colpo intriso di rigore etico se si tratta di tendere la mano – per umanità e amor proprio, mica per altro – a due leader sbilanciati sull’ abisso.  Ma se per Moro lo si sa, e lo si è scritto spesso, dirlo di Craxi è un passo verso l’ assennatezza perduta trentatre anni fa, quando all’ arresto di Mario Chiesa e all’ apertura della falsa rivoluzione giudiziaria si decise – nel senso più biblico dell’ iniziativa – di fare del capo socialista «il grande capro espiatorio», come scrive Sorgi con una secchezza irrimediabile. Il suo cadavere per la nostra catarsi: che oscenità.

Ciechi e autolesionisti, ci si è tutto riversato addosso, com’ era prevedibile e previsto: con Craxi, spiega Sorgi, si «consegna alla storia del Novecento il principio del primato della politica, mettendoci una pietra sopra». La politica che non sa più resistere a un procuratore, ceduta al servaggio dell’ opinione pubblica, svilita a materiale di controllo via social ora per ora, e dunque immeschinita e disarmata, in balìa del capriccio. Una repubblica fondata sulla menzogna e che, in un mare di menzogne, naufraga amaramente.

È stata una grande crudeltà che Bettino Craxi morisse da nemico della Repubblica in quel di Hammamet. Una colpa tanto grande destinata a riaffiorare come un incubo della coscienza italiana, tanto quella di aver lasciato morire Aldo Moro tra le mani delle Brigate Rosse. Marcello Sorgi, con Presunto colpevole. Gli Ultimi giorni di Craxi (Einaudi, 2020), avanza un parallelo che per alcuni avrà dello scandaloso, ma che in realtà regge al vaglio delle impressioni storiche. L’ex cronista dell’Ora di Palermo e autorevole editorialista della Stampa di Torino mette a confronto due morti che pesano, seppur nella radicale distanza delle situazioni, per evidenziare le incertezze e i balbettii dei vertici repubblicani dinnanzi a due vicende dove era in gioco la dignità umana delle istituzioni. Il leader socialista avrebbe voluto che il presidente Dc vivesse, smarcandosi da quell’intransigenza che sorprese e angosciò dalla prigionia anche Moro, di Pci e Scudocrocriato. Altri invece hanno lasciato che accadesse.

E la lista degli indizi e dei personaggi, su cui Sorgi ha lavorato nel suo libro-inchiesta di qualche anno fa, non è per gridare al complotto ma piuttosto per sviscerare la complessità della storia, piuttosto lunga e articolata. […] Di sicuro la pistola fumante dell’eliminazione di Bettino nelle mani americane non è stata trovata, ma gli indizi che portano a credere che potesse esserci erano e restano tanti. E Sorgi ci gioca, senza nulla togliere alla tragedia».

Fonti Bibliografiche:

Route El Fawara Hammamet, Bobo Craxi e Gianni Pennacchi, Sellerio Editore Palermo (2003)

L’Ultimo Craxi. Diari da Hammamet, Andrea Spiri, Baldini+Castoldi (2020)

Presunto colpevole. Gli Ultimi giorni di Craxi, Marcello Sorgi, Einaudi (2020)

La Seconda Repubblica. Origini e aporie dell’Italia bipolare, a cura di:  Francesco  Bonini  Lorenzo Ornaghi  Andrea Spiri (Rubbettino 2021)

Loading

Di Staff

Un pensiero su “Il caso Craxi: ricostruzione dettagliata di una congiura di stato”
  1. ECCELLENTE ricostruzione storica del prof. PIETRO ROCCARO e che ringrazio.
    E la scena si è ripetuta con altro personaggio.
    Così, da Pilato (politica ambigua) al Sinedrio (chiesa del Vaticano), lavandosene le mani corrotte, fu consegnato al “popolo inferocito” che da, irriconoscente. lo ha “Crocefisso”.
    Lo scenario è questo:
    “Una sfilata da luci della ribalta: il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, lassù innalzato anche da Bettino Craxi perché «fu il mio fedele ministro dell’Interno», diffonde una nota sulle sue responsabilità di garante della Costituzione, e dunque un condannato è un condannato, che ci posso fare?
    Il premier Massimo D’ Alema va dal procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e il procuratore ascolta, e ascolta, e poi, anche lui col faro della legalità a illuminargli il cammino, dice niente da fare, un condannato è un condannato, fate un decreto e assumetevene la responsabilità; ma siccome non erano più i tempi – e non lo sarebbero più stati – del primato della politica, D’ Alema non procedette oltre il baciamano all’ ordine costituito.
    Il capolavoro di situazionismo fu del segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, che dopo aver accolto in profonda contrizione le suppliche della figlia Stefania, trasse di tasca due rosari e glieli porse, perché ne facesse dono al padre, insieme all’ assicurazione di un posto di privilegio nelle sue preghiere.
    Così Bettino Craxi restò a morire ad Hammamet, nella latitanza dorata il cui culmine fu la sfacciataggine (ironia, per chi non l’ avesse capito) d’ essere operato per il cancro al rene nello squallore dell’ ospedale militare, dove un medico del San Raffaele si incaricò di reggere la lampada per fare luce sul lavorio chirurgico nelle viscere dell’ ex presidente”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *